Nature critica la sentenza EU sui brevetti delle staminali

Durissimo editoriale della rivista britannica, secondo cui la sentenza della Corte Europea è “un errore di giudizio”.

La Corte Europea di Giustizia (ECJ) “ha sbagliato a entrare nel merito della definizione di cos’è un embrione umano”, sostiene la prestigiosa rivista scientifica Nature in un editoriale pubblicato nell’ultimo numero (15 December 2011). L’editoriale fa riferimento al verdetto della ECJ dell’ottobre scorso, che proibiva la brevettabilità delle invenzioni basate sull’uso di linee cellule embrionali umane (vedi l’articolo Unistem sul verdetto).

La decisione della ECJ (“un errore di giudizio”, sostiene il titolo dell’editoriale di Nature)  è l’ultima tappa di una disputa legale aperta da Greenpeace, che aveva fatto ricorso in Germania contro un brevetto accordato nel 1999 a Oliver Brüstle, un ricercatore dell’Università di Bonn, riguardante un metodo per produrre cellule nervose a partire da linee di staminali embrionali umane. L’organizzazione ha invocato una clausola di contenuta nell Direttiva europea del 1998 sulla protezione legale delle invenzioni biotecnologiche, secondo cui sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni “il cui sfruttamento commerciale sia contrario all’ordine pubblico o al buon costume”. La norma  vieta “le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali”, senza riferirsi esplicitamente alle linee cellulari. La sentenza della Corte di Giustizia  equipara di fatto  le linee cellulari embrionali umane  agli embrioni, e ne impedisce  quindi la brevettabilità.

Secondo Nature, la ECJ “è andata oltre le proprie competenze” decretando “una definizione di fatto dell’embrione umano […] con un ragionamento scadente e senza gli appropriati riferimenti legali”.

La Corte, continua il durissimo editoriale, “ha scelto di non restare entro il contesto dei brevetti ma ha voluto definire il termine ’embrione umano’ in senso generale e nel modo più ampio possibile, dando un giudizio sull’ambiente morale che lo circonda”. In questo modo “ha superato la linea che separa l’interpretazione della legge, che rientra nelle proprie responsabilità, dalla creazione della legge, che invece è prerogativa dei parlamenti e dei governi”.

La rivista  britannica sostiene che il problema originario deriva dalla definizione fumosa di embrione umano contenuta nella norma europea del 1998, ma ciò non toglie che la ECJ  abbia agito in modo criticabile. “Quando una legge è ambigua una corte dovrebbe fare un passo indietro e ponderare le intenzioni dei legislatori. Da quello che si può leggere nella motivazione del verdetto Brüstle v. Greenpeace, non sembra che la EJC abbia fatto ciò, ” scrive Nature.

L’unico modo per “rimediare alla confusione generata dall’ ECJ”- continua l’editoriale- è che il Parlamento Europeo e il Consiglio d’Europa definiscano in modo meno ambiguo il concetto legale di embrione umano in rapporto alla brevettabilità”.

Lo stesso numero di Nature ospita un lungo articolo su Brüstle e il suo caso scritta dal senior European correspondent Alison Abbott.

Referenze:

Nature 480, 291–292 doi:10.1038/480291b

Nature 480, 310–312 doi:10.1038/480310a

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